Amor cortese
Doveva
puntare verso il centro commerciale e addentrarsi nell’unico
agglomerato residenziale moderno della cittadina. Erano edifici alti da
5 a 8 piani, costruiti in mattoni rosati e bianchi, con ampie superfici
vetrate e giardini condominiali. Un bel posto, se piace il genere. A
lui non piaceva: distaccato, confezionato, finto. A Sam piaceva perché
era razionale, disinvolto, sbrigativo. Non si vedevano mai lì.
L’appartamento
aveva un soggiorno open, dominato da una specie di terrazzino coperto
non particolarmente bello ma luminoso. Ovunque tappeti, bassi divanetti
marocchini, tavolini e ninnoli etno chic, maschere africane. Un arazzo
afgano alla parete. La sensazione era di caldo esotismo, ottimo per farci del sesso, constatò.
Entrò nella cucina, dominata dai toni dell’azzurro, azzurro cielo sul
soffitto, azzurro nuvola alle pareti, azzurri una credenza e un mobile
basso di antiquariato povero e azzurra la tendina sul cortile. Aprì uno
sportello e prese un bicchiere azzurro da cui bevve acqua. Trovò una
scatola di biscotti con l’uvetta, si riempì il bicchiere di latte e si
spostò nel bovindo in cui una poltrona di vimini aspettava.
La
gente passava sotto di lui senza alzare lo sguardo, indifferente alla
sua posizione di osservatore privilegiato. Era piacevole soggiornare su
una piattaforma contornata da vetri, piazzata sul trattato di
antropologia che si srotolava su quel segmento di strada. Per molti
minuti osservò lo sciabordare di popolazione umana e meccanica.
Osservava e sgranocchiava. Bere il latte lo infastidiva, perché doveva
distogliere lo sguardo dalla strada.
L’intensità della luce
cambiava lentamente, il sole non sarebbe tramontato presto ma uno
spesso strato di nuvole basse circondava l’orizzonte, annacquando i
raggi solari. I colori sbiadivano come se quel tratto di Inghilterra
fosse stato lavato a temperatura troppo alta e si fosse stinto. Il
vimini del sedile cominciava a mostrare la sua natura cespugliosa e a
trasformarsi inesorabilmente nel giaciglio di un fachiro. Ma non era il
prurito a infastidire l’attesa del tramonto, era la noia. Si sedette su
un divano basso ma la scomodità era, se possibile, ancora maggiore.
Valutò se addentrarsi nella camera e sdraiarsi sul letto ma per un
incomprensibile imbarazzo non lo fece. Ritornò al vimini con un cuscino
coxali in mano, che dispose con cura nella zona lombare. Era pronto a
far passare almeno un altra mezz’ora quando comparve.
Balzò in
piedi, cercò le scarpe, scattò incerto tra la porta e la veranda. Si
appese al vetro guardando giù. Lei era immobile nell’aria grigia,
sembrava aspettarlo. Guardava verso di lui. La sua bianchezza era abbacinante.
Howard non riusciva a credere ai propri occhi. Era la stessa donna
della biblioteca di Reading. I pedoni le passavano accanto senza
notarla, ma era impossibile non stupirsi del fascino senza tempo della
sua figura. Howard provò ad articolare dei gesti di attesa - l’avrebbe
raggiunta lì sotto - soltanto un minuto. Per i settanta secondi
necessari a scendere di corsa i tre piani di scale si chiese se lei
avesse capito di aspettare. Uscì all’aperto e lei non c’era più.
- Damn’d! -
Bastò
poco tempo perché l’umidità del terreno gli salisse su dai piedi nudi.
Si diede un’occhiata ed era scalzo, senza camicia e con l’aspetto di un
evaso. Ritornò verso l’atrio ma qualcosa lo spinse verso il giardino,
una misera aiuola circondata da un colonnato di mattoni. Un sassolino
lo punse e lui cominciò a saltellare dal dolore. Si esaminò la pianta
del piede nudo e lo massaggiò, alzò lo sguardo e lei c’era. Howard
rimase imbambolato con il piede in mano mentre la figura femminile
sorrideva lievemente. Accennò ad avvicinarsi. Lei alzò la mano.
“Aiutami....”
Istintivamente guardò in giro. Nessuno, oltre loro due.
“Aiutami....”
La donna aveva increspato leggermente le labbra diafane ma non aveva emesso alcun fiato.
“Aiutami...”
Il
silenzio circondava e sprofondava in due occhi scuri, lucidando il
dolore assorbito e proiettando lampi d’oscurità afasica e supplice.
Se
per un paio d’occhi come quelli si potessero onorare i giuramenti e
partire senza voltarsi indietro, raminghi ma solidi come querce
secolari, se un attimo potesse riempire di ragione una vita intera
passata nell’attesa, se quel codice che molti chiamano cavalleresco
potesse far leva sul cuore di uno dei suoi adepti, se il mistero minore
d’un sorriso accarezzato potesse parlare, se un dono scoprisse una
vertigine di pene d’amor cortese, se una parola chiedesse ed un’altra
promettesse, allora nulla potrebbe fermare quella forza.
Disse: “Ti aiuterò”. Lei evaporò dietro un pilastro. Lui starnutì, ondeggiò, rincorse, ma ormai era svanita.
Sam lo trovò scalzo e in maglietta seduto sul divanetto marocchino. Ciondolava la testa e respirava a fatica. Una piantagione di fazzoletti di carta usati copriva il tappeto berbero. Senza dire una parola entro in cucina a mettere su acqua per il the.
Cyberspazio isterico
Il
corpo di Howard ondeggiava lentamente. L’acqua ribolliva remota.
Istantaneamente ricomparve la ragione per cui si trovava in quella
stanza. Non spostò la testa, sarebbe stato scomodo e faticoso, ma
nell’angolo opposto alla finestra doveva troneggiare un tavolino. Sopra
il tavolino, un computer. Spento.
Alla fine aveva deciso di girarsi
e di cercare il contatto con l’apparecchio. Non aveva l’abitudine di
confrontarsi con gli elettrodomestici ma quel coso lo guardava storto e
lo faceva sentire a disagio. Sempre.
La situazione era tanto anomala da tingersi d’imbarazzo.
Howard aveva un collega scomparso, una conferenza esoterica alle
spalle, un librino nero zeppo di strani appunti, un collegamento remoto
con la rete della scuola, nessuna idea su come mettere insieme il
tutto. Su tutto questo svolazzava, ricomparso, il sari di Sam, furiosa
come una mangusta cui sia sfuggito il serpente a colazione. E il sari,
con Sam dentro, era l’unica sua speranza di far funzionare il maledetto
PC. Si alzò e spinse il tasto con il lecca lecca al contrario (-Power
on, questo lo so fare!-). Il ronzio meccanico della ventola si gonfiò,
senza trovare ostacoli. Istintivamente Howard si portò l’indice alla
bocca. Questo non produsse l’effetto sperato bensì lo schiocco
elettrico dei condensatori del tubo catodico del monitor. Sam comparve
vaporosa e austera proprio in corrispondenza dello zot.
“Hai bisogno di qualcosa”. Aggiunse soltanto per compassione.
“Io volevo... Beh, senti. Ti puoi collegare alla scuola?”
La
seta non era adatta alla digitazione. Sam sparì e ritornò pochi minuti
dopo con un maglione largo, lungo e nero e un paio di pantaloni
aderenti tinta alluminio. – Sembra un microfono – pensò Howard. Sam lo
fulminò con lo sguardo.
Ella si sedette di fronte al computer che
nel frattempo aveva terminato lo startup. Evocò rapidamente la maschera
di login della scuola. Sam digitò “htcaxton” nel campo username.
“No, no, cara non voglio collegarmi con il mio utente.”
Sam fu colpita più dall’uso del "cara" che della richiesta.
Howard pestò dei tasti.
“m” “p” “e” “m” “b” “r” “o” “c” .
”E la password?”
- E la password? – pensò anche Howard ma solo dopo qualche secondo.
Howard estrasse dalla tasca dei calzoni il librino nero. Lo aprì alla prima pagina e lesse ad alta voce:
“rufus1640... Eh?”
Sam pensò – Ma figurati...- e disse dubbiosa “Proviamo.”
Magicamente
la schermata successiva mostrò l’area personale del professor Martin
Pembrock. Sam riprese un contegno professionale.
“Cosa stai cercando, caro?” Il tono era troppo asettico per non suonare freddo.
”Veramente non lo so.” Assoluta verità.
Sam prese il controllo della situazione.
Il mouse imperversava di click sui folders dell’area personale. Howard
seguiva l’aprirsi e il chiudersi delle cartelle come il dipanarsi di un
labirinto. Rinunciò a capire e limitò le valutazioni all’estetica.
“Guarda qui.”
Howard guardò lì e vide una serie di iconcine bianche e azzurre. Carine.
“Lo vedi? sono pagine web.”
“Interessante.”
Sam non aveva bisogno di voltarsi per capire che il messaggio non era stato colto.
“Sono pagine prese da internet, e sono su argomenti abbastanza curiosi.”
Questo si che era interessante. Sam non attese l’ovvietà.
“Qui
ci sono pagine sul folclore locale, sull’attività di gruppi druidici,
storie misteriose del Berkshire. Insomma sono tutte su argomenti
occulti.”
”Non mi stupisce.”
Questa volta fu Sam ad essere stupita.
“...Diciamo
che il mio collega era una specie di esoterofilo, se così si può dire.
Faceva discorsi strani, sul mediatore plastico, sulle realtà possibili.
Un curioso passatempo, non trovi?”
Un curioso passatempo. Sam trasalì.
“Questi sono appunti, direi. I file hanno nel nome una data.”
“E dei luoghi, pare.” Dichiarò Howard con sicurezza.
“Apriamone qualcuno. Questo: Maidenhead20031101.txt “
“Halloween....”
Cappella di pietra, parco pubblico, ore 16.30.
Cielo coperto, visibilità buona.
Appostamento dalle 12.00. Soggetto passato da nord
verso retro cappella. Perduto.
Durata avvistamento 3s. Qualità 2.
Nessun rumore.
“Mah....”
“Torna su un attimo. Questo cos’è?”
Un file excel con tabelle, grafici, mappe con puntini. Un riquadro con una legenda su Qualità degli Avvistamenti, con una scala da 1 a 5.
“Io credo che stia portando avanti una specie di ricerca, Howard.”
“Ma non credo che si tratti di un altro Teorema di Fermat.”
“Sembra che stia controllando qualcosa.”
“Qualcuno. Qualcuno di molto sfuggente.”
Howard aveva gli occhi incrociati.
“Ma questa roba, non si può, magari... stampare?”
“E’ un lavoraccio che nemmeno il mio amore per te giustificherebbe. Però ti posso insegnare come si fa.”
La solita tagliente Sam era tornata.
“Grazie.”
Sam
tornò dopo un’ora e la stampante gemeva, strizzando le ultime gocce
d’inchiostro dalla cartuccia esausta. Fogli un po’ dappertutto. Howard
stralunato.
“Ora basta. Mi avrai consumato tutto l’inchiostro.” Sbuffò la rossa.
Howard alzò una mano in segno di resa. Ne aveva abbastanza anche lui.