Dovessi sintetizzare in un unico aggettivo cosa penso del corpus poetico di Mark Strand, non avrei dubbi: userei il superlativo interessantissimo. Mai, per esempio, mi verrebbe in mente di catalogare una sua poesia nella categoria del bello, con quanto di edonistico – di esteticamente godereccio - a questo termine si fa corrispondere. Piuttosto nella categoria dell’etico: infatti, quelle di Strand sono incursioni coraggiose sul terreno minato dell’esistere, eseguite con lo scandaglio dell’ironia. Un verso come:“Lei fece del suo meglio per affamare l’aria ingrassando” è roba che lo apparenta molto da vicino al Kafka dei diari o dei racconti più brevi. E poi trovo straordinario che uno che scrive: “Un uomo che preferisce restare in incognito / ha detto che nessuno di quelli che conosce è felice” e che intitola una lunga poesia al “Dolore”, nominando questa parola ad ogni verso (sul finale declinata addirittura al plurale), nella scia del nichilismo occidentale più malinconico, non abbia mai mostrato segni di distruttività iconoclasta o di sprezzo nei confronti del prossimo.
Ottima occasione per imparare ad amarlo questa miscellanea edita da minimum fax che ne ripercorre il cammino poetico dal 1934 al 2000, da cui estraggo “Il cunicolo” certamente più efficace di tante mie parole:
Sono giorni che un uomo
sta fermo di fronte
a casa mia. Lo spio
dalla finestra del
salotto e la sera,
non riuscendo a dormire,
con la torcia elettrica
illumino il prato.
Lui è sempre lì.
Dopo un po’
apro un tantino
la porta e gli ingiungo
di andarsene dal giardino.
Socchiude gli occhi
e geme. Sbatto
la porta e mi precipito
in cucina, poi su
in camera, poi di nuovo giù.
Piango come una scolaretta
e faccio gesti osceni
dalla finestra. Scrivo
enormi biglietti d’addio
da suicida e li espongo
in modo che li legga facilmente.
Distruggo i mobili
del salotto per dimostrare
che non posseggo nulla di valore.
Lui non pare impressionarsi
e allora decido di scavare un cunicolo
che sbocchi nel giardino vicino.
Separo lo scantinato
dai piani superiori
con un muro di mattoni. Scavo
come un matto e il cunicolo
è presto fatto. Lascio sotto
il piccone e la pala,
sbuco davanti a una casa
e resto lì troppo stanco
per muovermi o parlare. Sperando
che qualcuno mi aiuti.
So di essere osservato
e a tratti sento
la voce di un uomo,
ma non succede niente
e sono giorni che aspetto.
(traduzione di Damiano Abeni)
Ah già, dimenticavo: Mark Strand è nato nel 1934 in Canada e nel 1999 gli è stato conferito il premio Pulitzer.